Miyazaki e le contaminazioni con la fiaba tradizionale

Miyazaki, indiscusso genio creativo del cinema d’animazione, dimostra regolarmente di attingere da un patrimonio narrativo transculturale, da cui affiorano anche immagini e metafore della fiaba tradizionale europea e della cosiddetta letteratura per l’infanzia d’autore. Il risultato è una contaminazione sorprendente di contenuti, immagini, evocazioni capaci di intrecciarsi in trame che arrivano in profondità ad un pubblico intergenerazionale che da anni ha consacrato al successo la sua arte narrativa. Già in uno dei suoi primi film, Laputa, incontriamo l’isola volante descritta da Swift nel terzo viaggio di Gulliver che, dopo lillipuziani e giganti, si imbatte in un popolo di bizzarri scienziati estremamente dotti e tecnologicamente avanzati, ma del tutto incapaci di svolgere attività pratiche: uno sferzante attacco satirico di Swift  alla società del suo tempo e alla degenerazione del progresso. Laputa è un luogo immaginario in cui Miyazaki ambienta una trama di significati nuovi, condotta dagli immancabili giovani protagonisti. Continua a leggere Miyazaki e le contaminazioni con la fiaba tradizionale

Alla ricerca dell’immaturità

Paola Bisio – la casa che muta

E se il fine ultimo della formazione fosse l’immaturità, intesa come “condizione dell’esistenza non lontana dalla saggezza”* capace di disporci all’apprendimento continuo, alla continua scoperta di sé e del mondo?

Per molto tempo si è parlato della maturità come fine ultimo di ogni percorso educativo e formativo, ossia del raggiungimento di una condizione di equilibrio, stabilità e compimento, caratteristico dell’età adulta. Tuttavia, oggi è ampiamente superata l’idea di adultità come fase conclusiva del proprio processo di formazione individuale. Al contrario, la formazione dell’essere umano avviene nel corso dell’intero ciclo di vita, senza consolidamenti definitivi**. Ancor di più oggi, se si pensa alla velocità con cui evolvono le società complesse, ogni fase della vita è continuamente esposta a sollecitazioni formative e soprattutto è aperta al cambiamento. L’uomo moderno è, forse ancor più che in passato, Homo viator (Gabriel Marcel), essere incompiuto, sempre in cammino, alla ricerca della sua realizzazione. E’ come l’eroe fiabesco, continuamente alla ricerca di qualcosa, impegnato in un viaggio reale o immaginario, comunque metafora della natura dinamica dell’esistenza**.

Allora forse, è obiettivo prioritario il mantenimento di quel “bambino interiore” di cui tanti poeti e artisti hanno parlato, non come rifiuto della maturità, ma come capacità di “cogliere le potenzialità rigeneratrici di alcuni tratti psicologici infantili”* come la curiosità, l’immaginazione, l’apertura mentale, il movimento, il desiderio di sperimentare e di apprendere, la creatività, il gioco, l’avventura, l’esplorazione, l’energia, la sincerità, il bisogno di amare. Tutte queste componenti costituiscono certamente una forma di saggezza.

La motivazione alla custodia dell’immaturità, potrebbe essere molto semplice: “ciò che è maturo ha smesso di crescere”*.

C’è una metafora, tratta dal libro La Storia Infinita di Michael Ende che evoca, a mio avviso, questo bisogno di coltivare l’immaturità. In conclusione della sua avventura in Fantàsia, Bastiano, ormai logorato dal potere di realizzare ogni desiderio e avendo ormai raggiunto tutto ciò che poteva desiderare (bellezza, coraggio, forza, carisma, saggezza), ha perso quasi del tutto ogni memoria del suo passato. Raggiunge un curioso luogo chiamato “La casa che muta”: inizialmente simile a una zucca, questa bizzarra abitazione cambia aspetto continuamente, generando in vari punti forme e protuberanze che diventano comignoli, balconi e altri elementi, mentre nel frattempo altri scompaiono. Una casa che è metafora di un processo di gestazione. La finalità del luogo è immediatamente chiara, perché in sottofondo una voce canta: “Gran signore, sii bambino! Torna a essere piccino!” .

La casa è abitata da Donna aiuola, sul cui corpo crescono foglie, frutti e fiori, di cui Bastiano si nutre con desiderio e soddisfazione, brillante metafora della vita di cui il bambino si appropria con ingordigia.

La casa che muta si chiama così non solo perchè cambia aspetto, ma soprattutto perchè cambia chi ci abita: infatti, accogliendo Bastiano, la casa, che è dotata di una sua volontà, produce una stanza con mobili enormi, perché lo scopo è far sentire Bastiano piccolo, un ritorno alle origini necessario per proseguire il suo percorso di formazione.

* Duccio Demetrio (1998), Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età irragiungibile

**Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Tra le pagine di Astrid Lindgren: storie di avventura, indipendenza femminile, ma anche fiabe tradizionali

Se dico Astrid Lindgren, probabilmente a buona parte dei lettori verrà in mente una ragazzina ribelle e scalmanata, di nome Pippi, dalla chioma rossa come il suo temperamento, che ha accompagnato l’infanzia di molti di noi con le sue avventure strepitose e avvincenti. E in effetti il romanzo di Pippi Calzelunghe, pubblicato per la prima volta nel 1945, da un lato suscitò perplessità e disapprovazione da parte del mondo adulto, preoccupato che una bambina intraprendente e disubbidiente potesse diventare un modello d’identificazione per i propri figli, dall’altro venne accolta con incredibile entusiasmo proprio dal pubblico più giovane. Probabilmente Pippi ripercorre, in versione femminile, la stessa reazione che un altro monello del secolo precedente provocò nel pubblico grande e piccolo…Parliamo di Pinocchio, ovviamente: fino a quel momento la letteratura per l’infanzia era imbrigliata in obiettivi pedagogici moralistici e didascalici (vedi per esempio Giannetto di Parravicini) e abbondava di bambini-modello ubbidienti e giudiziosi, insomma, idealmente perfetti… Pinocchio, come anche Gian Burrasca, prorompono con energia nelle pagine per bambini, incarnando il monello anti-eroe, trasgressivo e ribelle, pronto a superare il limite imposto dall’adulto o incapace di autocontrollo. È per questo che personaggi come Pinocchio e la stessa Pippi piacciono tanto al pubblico infantile: perché, sì, i bambini hanno bisogno anche di personaggi “imperfetti” che consentano di dare sfogo agli intimi desideri di ribellione e disubbidienza, almeno nell’identificazione simbolica fornita dalla narrazione. Pippi in particolare incarna esperienze di leggerezza, spensieratezza, spontaneità, ma è anche un modello di indipendenza, coraggio e libertà femminili. Non è l’unico personaggio della Lindgren a evocare queste esigenze, si pensi per esempio a Ronja la figlia del brigante, di cui ho già scritto in un precedente articolo.

Tuttavia, la produzione della Lindgren è ricchissima, anche di opere meno note, come alcune fiabe tradizionali che ho scoperto solo recentemente, raccolte da Iperborea con il titolo “L’uccellino rosso”. Fiabe da cui emerge un’infanzia perduta e desolata di bambini costretti alla miseria, all’indifferenza e alla solitudine. L’uccellino rosso, per esempio, conduce due fratellini orfani e poverissimi in un mondo parallelo incantato, di cui non possiamo stabilire se sogno o realtà, contenente tutto ciò di cui la loro breve e grigia vita è priva: il tempo del gioco e della spensieratezza, le amicizie, una grande mamma buona, madre di tutti i bambini persi e dimenticati, che offre loro calore, accoglienza e cibo d’amore. Ed è lì che preferiscono restare, chiudendo per sempre il protone che li separa dalla vita reale, ahimè, amara e desolata. In Suona il mio tiglio, canta il mio usignolo?, Malin, la bambina protagonista, è costretta a vivere in un tetro e cupo ospizio di anziani, dopo la morte dei genitori, ma desidera con tutta se stessa portare un po’ di colore in questo luogo di alienazione. Il suo desiderio è tanto profondo da riuscire a donare il suo stesso spirito ad un piccolo albero di tiglio sonante; incarnata nell’albero, continuerà così a vivere nel cortile dell’ospizio, portando finalmente gioia e bellezza. E ancora in Tum Tum Tum! l’autrice ci parla di un legame generazionale molto speciale che lega un nonno alla sua nipotina, intessuto delle storie che si raccontano, perché solo “chi è molto vecchio e chi è nuovo al mondo capisce certe cose”. Rapita e costretta all’oblio dal popolo sotto-terrestre, sarà proprio la voce del nonno che intona la loro filastrocca a risvegliare la sua coscienza e riportarla in superficie. La parola narrata è ancora una volta testimonianza di condivisione e strumento di salvezza.

È ben chiaro a questo punto che la produzione di Astrid Lindgren, autentico talento narrativo, richieda di essere esplorata con attenzione e riscoperta.

*Per ogni approfondimento: Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Imparare con le fiabe. Bibliografia minima

Puzzle “Fiabe” di James Christensen

Le persone che incontro in aula e che restano affascinate dal mio approccio formativo basato su materiale fiabesco, spesso mi chiedono da dove cominciare per iniziare ad orientarsi all’interno di una bibliografia minima ragionata sulle funzioni formative ed educative delle fiabe. Ecco a mio avviso i primi testi da cui partire:

  1. I due manuali di Vladimir Propp (Morfologia della fiaba e Le radici storiche dei racconti di fate), fondamentali per iniziare ad analizzare in maniera scientifica il materiale fiabesco, in particolare gli elementi di continuità transculturale e la contestualizzazione socioeconomica della narrazione fiabesca. Nel primo volume, definito appositamente “Morfologia”, l’autore analizza proprio come uno scienziato naturalista il materiale narrativo, nelle sue caratteristiche formali e strutturali (definite funzioni) che si ritrovano nelle produzioni di tutto il mondo, aldilà del contesto di appartenenza. Nel secondo volume Propp sostiene la teoria per cui le fiabe siano il prodotto dell’evoluzione sociale, storica ed economica dell’uomo:  le fiabe sono il residuo antropologico dei riti di iniziazione caratteristici del regime dei clan e in esse si ritrovano simbolicamente molti elementi (l’allontanamento da casa, la casetta nel bosco, le mutilazioni e la morte temporanea, la scienza furba, i doni magici), «finché il rito esisteva era cosa viva, non potevano esserci fiabe su di esso»
  2. Il breve saggio Sulle fiabe di Tolkien: fantasia, recupero, fuga, consolazione sono i fattori necessari per la realizzazione di una buona fiaba. “Feeria è un paese pericoloso, pieno di trabocchetti per gli incauti e di tranelli per i temerari. E tra questi posso essere annoverato anch’io perché, pur essendo stato un appassionato di fiabe fin da quando ho imparato a leggere, e a volte le abbia fatte oggetto di riflessione, mai però ho affrontato il problema da professionista“.
  3. Per un’analisi psicoanalitica delle fiabe, imperdibile il saggio di Bettelheim Il mondo incantato: situazioni, personaggi, eventi delle fiabe non sono una descrizione fattuale della realtà ma rappresentazione simbolica dei processi psichici interiori, in particolare quelli legati al conflitto edipico. Pertanto la lettura della fiaba consente di accogliere, dare forma, esprimere e liberare contenuti emotivi inconsci che creano disagio nel bambino “La fiaba è terapeutica perché il soggetto trova le sue proprie soluzioni, meditando su quanto la storia sembra implicare sei suoi riguardi e sui conflitti interiori in quel momento della sua vita”
  4. Il saggio di Italo Calvino Sulla fiaba: l’autore, oltre ad aver realizzato l’eccezionale raccolta di fiabe popolari italiane, ha prodotto questo interessante riflessione critica sulle caratteristiche delle fiabe. Calvino sostiene che le fiabe rappresentano, in forma simbolica, una spiegazione generale della vita, dove si ritrovano i grandi problemi e difficoltà esistenziali che gli esseri umani possono incontrare nel loro percorso (la nascita dei figli, la rivalità tra fratelli, l’allontanamento d acasa, le prove per diventare grandi, la relazione di coppia)
  5. La grammatica della fantasia di Gianni Rodari: l’autore, legittimamente soprannominato “il genio della fantasia” sostiene  l’importanza dell’immaginazione creativa nei programmi educativi dei bambini. Interessanti i suoi suggerimenti per l’uso della fiaba con bambini più grandi, attraverso attività creative che consentono al bambino un ruolo più attivo (modernizzazione della storia, inversione di ruoli, finali diversi, insalata di favole, etc). “Una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni, immagini, analogie, ricordi, significati, sogni in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio
  6. Il mio libro Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, raccoglie i suggerimenti più interessanti che ho appreso dallo studio sistematico del materiale fiabesco, privilegiandone gli aspetti pedagogici. Il libro ripercorre idealmente il ciclo di vita dell’individuo: la nascita, l’adolescenza, la relazione di coppia, la genitorialità, la formazione, il tempo libero e il lavoro. Le tappe e gli eventi significativi del ciclo di vita sono analizzati attraverso il supporto di molteplici fiabe, tra cui la Sirenetta, Il Mago di Oz, Peter Pan, Alice nel Paese delle Meraviglie, Cappuccetto Rosso, Sindibàd, La Gabbianella e il Gatto, Frozen  e molte altre ancora: “mi sembra che il potere formativo della fiaba sia dato soprattutto dall’esperienza di relazione: la narrazione costringe a recuperare la categoria del tempo: la storia ascoltata e ricevuta, narrata o donata, è un tempo pieno e denso di significati, perché non è realizzabile se non attraverso la relazione, con l’altro o con se stessi. Si tratta indubbiamente di un’acquisizione fondamentale, anche per l’uomo contemporaneo, anche in età adulta

A questo punto quali fiabe leggere? La prima fondamentale indicazione è di leggere la versione originale delle fiabe, sorvolando su revisioni edulcorate, rimaneggiate nei finali e nei personaggi, erroneamente ripensate per un pubblico infantile. Le versioni originali si trovano nelle sezioni per adulti delle librerie, spesso sugli scaffali dei classici. E da qui sono partita io, leggendo inizialmente la raccolta dei Grimm, Calvino, Le Mille e una notte, Andersen, Carroll, Baum, Collodi, le novelline di Gozzano, le fiabe di Capuana, Li Cunti di Basile, la produzione di Rodari e di Sepulveda. Ma il raggio di studio si è ben presto ampliato e, spinta dalla curiosità, ho iniziato ad esplorare trame meno note o etnicamente caratteristiche, tra cui: fiabe africane, irlandesi, russe, islandesi, caraibiche, birmane, indiane, polinesiane, le leggende dei Mari del Sud e quelle dei Pellerossa… La cosa più bella? Scoprire regolarmente l’equilibrio tra particolare e universale, tra globale e locale. Le fiabe sono il risultato della necessità narrativa tipicamente umana, con cui comunichiamo la nostra specificità culturale e al contempo l’appartenenza alla storia umana universale.

Infine, sono regolarmente impegnata in percorsi di formazione sul tema delle fiabe e sulle possibili applicazioni del materiale fiabesco nei più variegati contesti formativi e professionali. Perché, a mio avviso, qualsiasi argomento può essere trattato attraverso la fiaba e una sola fiaba si presta a trattare molti argomenti. Se sei interessato, non esitare a contattarmi.

*Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Il principio dialogico di Buber raccontato dal Piccolo Principe

Il Piccolo Principe è una storia per adulti, nonostante venga generalmente inserita tra le pubblicazioni per l’infanzia. Spesso i bambini ne restano sconcertati perché è un romanzo che parla del disincanto del mondo adulto, attraversato da una profonda desolazione, da una malinconia costante che si chiude con un finale destinato a lasciare un’inevitabile inquietudine (il piccolo protagonista che si dona liberamente alla morte).

E allora, se si tratta di una storia per adulti, possiamo proprio trattarla come tale, approfittando delle sue metafore per parlare di filosofia, in particolare di Buber, del suo principio dialogico e delle ricadute pedagogiche che ne conseguono. Continua a leggere Il principio dialogico di Buber raccontato dal Piccolo Principe

La canzone del mare: cosa può ancora insegnarci l’immaginario fantastico irlandese?

Il film La canzone del mare (2014) è un’incantevole fiaba che recupera l’immaginario fantastico irlandese e lo sviluppa al punto da affrontare questioni evolutive particolarmente attuali, come la rivalità fraterna e la gestione delle emozioni.

Dell’antico immaginario del Nord, ritroviamo innanzitutto le protagoniste femminili: le Selkie, creature mitologiche irlandesi, caratterizzate da una natura duplice. Esse vivono nel mare con aspetto di foche, ma possono rimuovere il manto e assumere aspetto umano sulla terra. La Selkie rappresenta la complessità della natura femminile – metà umana metà creatura magica – ed è il collegamento necessario fra mondo reale e il cosiddetto “altro mondo”. Continua a leggere La canzone del mare: cosa può ancora insegnarci l’immaginario fantastico irlandese?

L’immaginario di Chagall, tra fiaba e arte

Addentrarsi alla scoperta delle opere di Chagall è un’esperienza fiabesca. Non solo per l’impegno diretto dell’artista in questo settore (nel 1927 fu incaricato di illustrare le Favole di La Fontaine), ma per l’immaginario che scaturisce da tutta la sua produzione artistica, in cui si ritrova una compenetrazione di simboli, immagini e icone caratteristici anche del linguaggio fiabesco.

Le tele si popolano di piccoli personaggi (artisti, violinisti, amanti e animali) che si librano su sfondi morbidi e colori palpabili, sospesi in una dimensione onirica, priva di precisi confini temporali. Come nel sogno, nel ricordo e nelle fiabe, non c’è una regola precisa con cui le immagini si presentano: esse sbocciano naturalmente dall’immaginario dell’artista, con la forza evocativa dal linguaggio inconscio e simbolico.

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Coco. Quando un bambino risolve i conflitti intergenerazionali

Con un po’ di ritardo rispetto all’uscita cinematografica, ho visto Coco. È stato detto che questo film affronta per i bambini il tema della morte, ma non mi sembra l’argomento protagonista. Tra l’altro il mondo dei defunti altro non è che una trasposizione della vita sulla terra, dove i morti mantengono la stessa organizzazione sociale precedente, oltre che i tratti caratteriali, in termini di vizi e virtù. Unico elemento che ci ricorda l’interruzione della vita reale, presente in moltissime culture, è il pericolo che il defunto sia dimenticato dai vivi, pertanto è necessario riattualizzare il ricordo attraverso rituali.
Il film parla in realtà di un tema molto complesso, ossia la trasmissione intergenerazionale dei conflitti familiari. Un bambino, ultimo anello di una catena generazionale compatta e solida per principi e valori, è chiamato in causa per risolvere i conflitti e i problemi che appartengono alla storia dei suoi predecessori e la cui irrisolutezza però condiziona la possibilità del bambino di progettare il proprio futuro. Continua a leggere Coco. Quando un bambino risolve i conflitti intergenerazionali

Mi leggi una storia?

La sensibilizzazione precoce alla lettura è un tema di grande attualità, i cui vantaggi a livello psicologico, educativo, cognitivo e sociale sono stati evidenziati da numerose ricerche. Spesso, nelle mie attività di consulenza e formazione, mi viene domandato come stimolare l’interesse precoce per la lettura, soprattutto in tempi come quelli attuali, dominati dal trionfo delle nuove tecnologie. Proverò a riassumere in pochi punti gli elementi a mio avviso fondamentali per rispondere a queste due domande: perché e come la lettura precoce? Continua a leggere Mi leggi una storia?

Il GGG di Roald Dahl: la paura può essere anche un gigante buono

Per me il nome di Roald Dahl si associa ad una precisa immagine: lo scaffale della biblioteca di paese della mia infanzia, dove stavano riposti i libri dell’autore che prendevo ripetutamente in prestito e di cui ricordo soprattutto le pagine consumate dalle mani di tanti bambini. 

Del GGG ho visto il film recentemente e mi vengono in mente alcune osservazioni che credo valga la pena di condividere, soprattutto quando la cosiddetta letteratura per l’infanzia (spesso svalutata o faticosamente accreditata al livello di “letteratura seria”) è in grado di darci dei suggerimenti così chiari che difficilmente potremmo spiegare in maniera più diretta. Continua a leggere Il GGG di Roald Dahl: la paura può essere anche un gigante buono

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