WUNDERLUST

Da piccola, della scatola dei pastelli Giotto, i miei preferiti erano il Blu di Prussia, il Verde di Prussia e il Blu Oltremare. Il loro nome era una promessa di incanto, esotismo e avventura. Disegnare e colorare con quelle tinte era come sfumare i chilometri che mi separavano dalle terre misteriose che avevo immaginato tra le pagine e le illustrazioni delle novelle orientali.

In quegli stessi anni, i libri di Jules Verne e gli altri grandi romanzi d’avventura si consumavano sotto i miei occhi e le mie mani. Mi ero fatta anche regalare una lampada mappamondo, un oggetto piuttosto in voga in quegli anni: lo accendevo e al buio percorrevo con le dita le montagne in rilievo, i fiumi, i mari, ma ciò che mi incantava di più erano le piccole isole spruzzate negli oceani.

Durante le scuole medie, ho cominciato la fase di corrispondenze con amiche di penna europee ed extraeuropee. Si chiamavano Monika dall’Ungheria, Olga dalla Russia, Malika dalla Tunisia, oltre a quelle italiane. Alcune corrispondenze sono durate molti anni. Innegabile il fascino che scaturiva dai quei momenti: l’attesa della risposta, la sorpresa sempre nuova della lettera nella buca, il decifrarne i dettagli (il francobollo, il timbro postale, la calligrafia a cui abbinavo un volto, una personalità), la cura meticolosa nello scegliere carta da lettere, immagini e parole. Perché? Anche quella era una promessa di viaggio, una fantasia che si alimentava di pagina in pagina e che reclamava di essere concretizzata.

Sempre in quegli anni ho iniziato a collezionare cartoline provenienti da tutto il mondo, le selezionavo e compravo nei mercatini delle pulci. Di nuovo, i francobolli erano come una finestra aperta sul mondo che aspettava di essere esplorato. C’erano indirizzi e nomi di destinatari che forse non esistevano più, ma erano sufficienti per appropriarsi indirettamente di tutto il fascio di emozioni del viaggio (emozioni preparatorie, di realizzazione e di sedimentazione) che qualcuno aveva vissuto in qualche parte del mondo.

Oggi ho realizzato diverse tappe e molte molte altre aspettano sulla lista degli itinerari da compiere. Ho nell’armadio una scratch map su cui rappresentare gli obiettivi raggiunti. Ma …quando mi sposto, per vacanza o per lavoro, la sensazione è la stessa di quando ero bambina: finché mi muovo, incontro e imparo sto andando nella direzione giusta.

 

Distopie formative: immaginare la fine del mondo per esercitare la produzione di soluzioni possibili

L’uomo è innanzitutto un animale narrante.

L’atto del narrare storie è intrinseco alla natura umana, in quanto correlato a specifiche strutture cerebrali: la biologia ha selezionato, favorito e trasmesso le abilità narrative in quanto capaci di produrre un archivio mentale di situazioni complesse capaci di migliorare le possibilità di sopravvivenza e di adattamento dell’essere umano. La narrazione è infatti una forma di organizzazione psichica universale, disponibile a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla cultura di appartenenza, che consente di dare senso all’esperienza vissuta (Bastone, 2021).

Ma allora perché immaginare distopie? Quali bisogni vengono appagati dall’immaginare futuri catastrofici, in cui l’umanità confluisce, senza ulteriori speranze, in una conclusione inesorabile della sua storia naturale e sociale? Per quale motivo la mente narrante sente la necessità di ipotizzare un ribaltamento della naturale propensione ottimistica del lieto fine? Continua a leggere Distopie formative: immaginare la fine del mondo per esercitare la produzione di soluzioni possibili

Alla ricerca dell’immaturità

Paola Bisio – la casa che muta

E se il fine ultimo della formazione fosse l’immaturità, intesa come “condizione dell’esistenza non lontana dalla saggezza”* capace di disporci all’apprendimento continuo, alla continua scoperta di sé e del mondo?

Per molto tempo si è parlato della maturità come fine ultimo di ogni percorso educativo e formativo, ossia del raggiungimento di una condizione di equilibrio, stabilità e compimento, caratteristico dell’età adulta. Tuttavia, oggi è ampiamente superata l’idea di adultità come fase conclusiva del proprio processo di formazione individuale. Al contrario, la formazione dell’essere umano avviene nel corso dell’intero ciclo di vita, senza consolidamenti definitivi**. Ancor di più oggi, se si pensa alla velocità con cui evolvono le società complesse, ogni fase della vita è continuamente esposta a sollecitazioni formative e soprattutto è aperta al cambiamento. L’uomo moderno è, forse ancor più che in passato, Homo viator (Gabriel Marcel), essere incompiuto, sempre in cammino, alla ricerca della sua realizzazione. E’ come l’eroe fiabesco, continuamente alla ricerca di qualcosa, impegnato in un viaggio reale o immaginario, comunque metafora della natura dinamica dell’esistenza**.

Allora forse, è obiettivo prioritario il mantenimento di quel “bambino interiore” di cui tanti poeti e artisti hanno parlato, non come rifiuto della maturità, ma come capacità di “cogliere le potenzialità rigeneratrici di alcuni tratti psicologici infantili”* come la curiosità, l’immaginazione, l’apertura mentale, il movimento, il desiderio di sperimentare e di apprendere, la creatività, il gioco, l’avventura, l’esplorazione, l’energia, la sincerità, il bisogno di amare. Tutte queste componenti costituiscono certamente una forma di saggezza.

La motivazione alla custodia dell’immaturità, potrebbe essere molto semplice: “ciò che è maturo ha smesso di crescere”*.

C’è una metafora, tratta dal libro La Storia Infinita di Michael Ende che evoca, a mio avviso, questo bisogno di coltivare l’immaturità. In conclusione della sua avventura in Fantàsia, Bastiano, ormai logorato dal potere di realizzare ogni desiderio e avendo ormai raggiunto tutto ciò che poteva desiderare (bellezza, coraggio, forza, carisma, saggezza), ha perso quasi del tutto ogni memoria del suo passato. Raggiunge un curioso luogo chiamato “La casa che muta”: inizialmente simile a una zucca, questa bizzarra abitazione cambia aspetto continuamente, generando in vari punti forme e protuberanze che diventano comignoli, balconi e altri elementi, mentre nel frattempo altri scompaiono. Una casa che è metafora di un processo di gestazione. La finalità del luogo è immediatamente chiara, perché in sottofondo una voce canta: “Gran signore, sii bambino! Torna a essere piccino!” .

La casa è abitata da Donna aiuola, sul cui corpo crescono foglie, frutti e fiori, di cui Bastiano si nutre con desiderio e soddisfazione, brillante metafora della vita di cui il bambino si appropria con ingordigia.

La casa che muta si chiama così non solo perchè cambia aspetto, ma soprattutto perchè cambia chi ci abita: infatti, accogliendo Bastiano, la casa, che è dotata di una sua volontà, produce una stanza con mobili enormi, perché lo scopo è far sentire Bastiano piccolo, un ritorno alle origini necessario per proseguire il suo percorso di formazione.

* Duccio Demetrio (1998), Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età irragiungibile

**Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Fumetti, bandes dessinées, comics, graphics novels… quando l’immagine disegnata diventa strumento di narrazione e di comunicazione

La comunicazione grafica è una delle più antiche adottate dall’essere umano per esprimere situazioni, sentimenti, bisogni; parallelamente all’evoluzione dell’uomo, ha assunto modalità sempre nuove con cui veicolare i propri contenuti, adattandosi a contesti socioculturali molteplici e sfruttando le novità tecnologiche del proprio tempo.

Il fumetto è una di queste modalità espressive, capace di coniugare le acquisizioni di molte arti: innanzitutto le tecniche del disegno pittorico per le immagini, le tecniche narrative per i dialoghi, ma anche le tecniche di inquadratura del cinema. Il fumetto, infatti, in quanto insieme di vignette che in sequenza creano un’azione, ha un’enorme capacità di esprimere situazioni, sentimenti e stati d’animo molteplici.

Tuttavia, da un punto di vista formativo, il fumetto non ha goduto sempre di grande popolarità e forse anche oggi le sue potenzialità sono sottovalutate…

Storicamente il fumetto nasce negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo (Yellow Kid è considerato il primo fumetto della storia) e da quel momento questo nuovo prodotto narrativo verrà esportato in tutto il mondo, diventando un fenomeno popolare di massa. In Italia la storia del fumetto è avviata da «Il Corriere dei Piccoli» (nato nel 1908), utilizzato anche dal fascismo come strumento di propaganda politica, finalizzato a trasmettere l’amore patriottico nelle giovani generazioni.

Tuttavia, nel secondo dopoguerra, esperti e studiosi di educazione si scagliano duramente contro il fumetto, addirittura con una proposta di legge di censura preventiva: il fumento viene considerato “nefasto” e pericoloso per l’educazione dei giovani, poiché esalta l’aggressività (Nilde Iotti, 1951).

Dagli anni 60 però, la produzione fumettistica decolla definitivamente: si moltiplicano i generi e si diffonde il fumetto d’autore, dove si presta una crescente attenzione al risultato estetico e alla qualità dell’immagine, sempre più curata e raffinata. Il culmine del successo dei fumetti in Italia si colloca fra gli anni 60 e 70 (in questi anni i fumetti italiani sono i più venduti nel mondo occidentale). Nel 1965, nasce anche il “Salone internazionale dei Comics”: per la prima volta il fumetto, tradizionalmente relegato alle sottoculture popolari, viene elevato a materia di studio anche accademico. Il «Corriere dei Piccoli» vive una fase di grande rinnovamento, grazie anche all’importazione di fumetti come i Puffi e Lucky Luke, oltre che personaggi emergenti, tra cui Corto Maltese, La Pimpa, Lupo Alberto.

Oggi anche il mondo accademico è generalmente concorde nel riconoscere la dignità di questa produzione narrativa – anche definita “letteratura disegnata” – e la sua funzione educativa e didattica: uno strumento utile, efficace e generalmente gradito, con cui costruire percorsi didattici e unità di apprendimento.

Lo stesso Gianni Rodari, nel suo ben noto passaggio “9 modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura”(1964, Giornale dei Genitori), indica il seguente:Presentare il libro come alternativa al fumetto; il fumetto ha la funzione di nutrire e alimentare il bisogno di avventure, di comicità da consumare in fretta, da rinnovare spesso: è maneggevole, è economico, è scambiabile (…) non ha niente a che fare con la lettura, è un’altra cosa, ma i ragazzi non hanno bisogno soltanto di buone letture”.

Insomma, il principio guida per l’adulto è sempre lo stesso: il bambino deve essere messo nelle condizioni di poter fare scelte che soddisfino i suoi gusti e bisogni. La lettura non è solo strumento didattico, ma possibilmente anche piacere. Calvino parlerebbe di “lettura sensuale”, ossia capace di assorbire tutti i nostri sensi e farci evadere in un mondo in cui si vorrebbe permanere. E il fumetto – con la sua commistione di immagini, parola scritta e simbologia grafica – ne ha certamente tutte le potenzialità.

Marrone G., Il fumetto fra pedagogia e racconto. Manuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca, 2004, Tunué

Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Bastone A., A lezione con i film d’animazione. Quando il cartone animato incontra la pedagogia, 2019, Gruppo Editoriale L’Espresso

Imparare con le fiabe. Bibliografia minima

Puzzle “Fiabe” di James Christensen

Le persone che incontro in aula e che restano affascinate dal mio approccio formativo basato su materiale fiabesco, spesso mi chiedono da dove cominciare per iniziare ad orientarsi all’interno di una bibliografia minima ragionata sulle funzioni formative ed educative delle fiabe. Ecco a mio avviso i primi testi da cui partire:

  1. I due manuali di Vladimir Propp (Morfologia della fiaba e Le radici storiche dei racconti di fate), fondamentali per iniziare ad analizzare in maniera scientifica il materiale fiabesco, in particolare gli elementi di continuità transculturale e la contestualizzazione socioeconomica della narrazione fiabesca. Nel primo volume, definito appositamente “Morfologia”, l’autore analizza proprio come uno scienziato naturalista il materiale narrativo, nelle sue caratteristiche formali e strutturali (definite funzioni) che si ritrovano nelle produzioni di tutto il mondo, aldilà del contesto di appartenenza. Nel secondo volume Propp sostiene la teoria per cui le fiabe siano il prodotto dell’evoluzione sociale, storica ed economica dell’uomo:  le fiabe sono il residuo antropologico dei riti di iniziazione caratteristici del regime dei clan e in esse si ritrovano simbolicamente molti elementi (l’allontanamento da casa, la casetta nel bosco, le mutilazioni e la morte temporanea, la scienza furba, i doni magici), «finché il rito esisteva era cosa viva, non potevano esserci fiabe su di esso»
  2. Il breve saggio Sulle fiabe di Tolkien: fantasia, recupero, fuga, consolazione sono i fattori necessari per la realizzazione di una buona fiaba. “Feeria è un paese pericoloso, pieno di trabocchetti per gli incauti e di tranelli per i temerari. E tra questi posso essere annoverato anch’io perché, pur essendo stato un appassionato di fiabe fin da quando ho imparato a leggere, e a volte le abbia fatte oggetto di riflessione, mai però ho affrontato il problema da professionista“.
  3. Per un’analisi psicoanalitica delle fiabe, imperdibile il saggio di Bettelheim Il mondo incantato: situazioni, personaggi, eventi delle fiabe non sono una descrizione fattuale della realtà ma rappresentazione simbolica dei processi psichici interiori, in particolare quelli legati al conflitto edipico. Pertanto la lettura della fiaba consente di accogliere, dare forma, esprimere e liberare contenuti emotivi inconsci che creano disagio nel bambino “La fiaba è terapeutica perché il soggetto trova le sue proprie soluzioni, meditando su quanto la storia sembra implicare sei suoi riguardi e sui conflitti interiori in quel momento della sua vita”
  4. Il saggio di Italo Calvino Sulla fiaba: l’autore, oltre ad aver realizzato l’eccezionale raccolta di fiabe popolari italiane, ha prodotto questo interessante riflessione critica sulle caratteristiche delle fiabe. Calvino sostiene che le fiabe rappresentano, in forma simbolica, una spiegazione generale della vita, dove si ritrovano i grandi problemi e difficoltà esistenziali che gli esseri umani possono incontrare nel loro percorso (la nascita dei figli, la rivalità tra fratelli, l’allontanamento d acasa, le prove per diventare grandi, la relazione di coppia)
  5. La grammatica della fantasia di Gianni Rodari: l’autore, legittimamente soprannominato “il genio della fantasia” sostiene  l’importanza dell’immaginazione creativa nei programmi educativi dei bambini. Interessanti i suoi suggerimenti per l’uso della fiaba con bambini più grandi, attraverso attività creative che consentono al bambino un ruolo più attivo (modernizzazione della storia, inversione di ruoli, finali diversi, insalata di favole, etc). “Una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni, immagini, analogie, ricordi, significati, sogni in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio
  6. Il mio libro Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, raccoglie i suggerimenti più interessanti che ho appreso dallo studio sistematico del materiale fiabesco, privilegiandone gli aspetti pedagogici. Il libro ripercorre idealmente il ciclo di vita dell’individuo: la nascita, l’adolescenza, la relazione di coppia, la genitorialità, la formazione, il tempo libero e il lavoro. Le tappe e gli eventi significativi del ciclo di vita sono analizzati attraverso il supporto di molteplici fiabe, tra cui la Sirenetta, Il Mago di Oz, Peter Pan, Alice nel Paese delle Meraviglie, Cappuccetto Rosso, Sindibàd, La Gabbianella e il Gatto, Frozen  e molte altre ancora: “mi sembra che il potere formativo della fiaba sia dato soprattutto dall’esperienza di relazione: la narrazione costringe a recuperare la categoria del tempo: la storia ascoltata e ricevuta, narrata o donata, è un tempo pieno e denso di significati, perché non è realizzabile se non attraverso la relazione, con l’altro o con se stessi. Si tratta indubbiamente di un’acquisizione fondamentale, anche per l’uomo contemporaneo, anche in età adulta

A questo punto quali fiabe leggere? La prima fondamentale indicazione è di leggere la versione originale delle fiabe, sorvolando su revisioni edulcorate, rimaneggiate nei finali e nei personaggi, erroneamente ripensate per un pubblico infantile. Le versioni originali si trovano nelle sezioni per adulti delle librerie, spesso sugli scaffali dei classici. E da qui sono partita io, leggendo inizialmente la raccolta dei Grimm, Calvino, Le Mille e una notte, Andersen, Carroll, Baum, Collodi, le novelline di Gozzano, le fiabe di Capuana, Li Cunti di Basile, la produzione di Rodari e di Sepulveda. Ma il raggio di studio si è ben presto ampliato e, spinta dalla curiosità, ho iniziato ad esplorare trame meno note o etnicamente caratteristiche, tra cui: fiabe africane, irlandesi, russe, islandesi, caraibiche, birmane, indiane, polinesiane, le leggende dei Mari del Sud e quelle dei Pellerossa… La cosa più bella? Scoprire regolarmente l’equilibrio tra particolare e universale, tra globale e locale. Le fiabe sono il risultato della necessità narrativa tipicamente umana, con cui comunichiamo la nostra specificità culturale e al contempo l’appartenenza alla storia umana universale.

Infine, sono regolarmente impegnata in percorsi di formazione sul tema delle fiabe e sulle possibili applicazioni del materiale fiabesco nei più variegati contesti formativi e professionali. Perché, a mio avviso, qualsiasi argomento può essere trattato attraverso la fiaba e una sola fiaba si presta a trattare molti argomenti. Se sei interessato, non esitare a contattarmi.

*Antonella Bastone (2021), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazione, CELID Edizioni

Il dilemma del Curriculum Vitae: formato europeo, personalizzato, infografica o….self-marketing di Leonardo da Vinci?

A fronte dell’attiva ricerca di lavoro in cui oggi persone di ogni età si impegnano, spesso ci si imbatte nella questione del formato del curriculum vitae più adatto. Si tratta di un dibattito certamente aperto, su cui anche i professionisti delle Risorse Umane potrebbero non concordare. Nei miei percorsi di orientamento al lavoro e bilancio di competenze, cerco soprattutto di illustrare i vantaggi e i vincoli di ognuno, al fine che si possa individuare il formato in cui ci si sente più a proprio agio per descrivere il proprio percorso.

Se il formato europeo consente una prevedibilità dell’ordine e della struttura logica delle informazioni, utile sia per il candidato che per il selezionatore, dall’altra parte non spicca certo per originalità. I formati personalizzati, anche su modelli infografici (alcuni predefiniti e scaricabili dal web), permettono di sintetizzare più agilmente le informazioni e di personalizzarle graficamente.

Tuttavia, aldilà del formato scelto, l’elemento essenziale resta la capacità del soggetto di valorizzare e rendere interessante il proprio percorso formativo e professionale agli occhi di chi potrebbe riceverlo. A questo proposito, un utile contributo è la lettera di presentazione – curriculum realizzata da Leonardo da Vinci nel lontano 1482 quando, allora trentenne, decise di presentarsi alla corte di Ludovico il Moro, anticipando la propria candidatura con un elaborato, stilato in 12 punti essenziali. La lettera, aldilà delle singole competenze descritte, rappresenta un ottimo (e lungimirante) esempio di self- marketing. Perché?

Innanzitutto per l’abilità di descrivere se stesso in termini di competenze, come anticipato fin dall’inizio: “Le cose che sono in grado di fare sono elencate, anche se brevemente, qui di seguito (ma sono capace di fare molto di più, a seconda delle esigenze)”. Non è un’abilità così scontata, se consideriamo tutte le volte in cui un candidato si presenta semplicemente facendo un elenco delle esperienze avute. Ricordiamo, una competenza è “un insieme di risorse soggettive e oggettive che un soggetto può mobilitare per affrontare una situazione con successo. Insomma occorre imparare ad argomentare le esperienze avute in termini di competenze acquisite, di abilità nel realizzare qualche cosa (Cosa ho imparato? Cosa mi sono portato a casa da quell’esperienza?”).

Leonardo da Vinci ad esempio dice di sé: “So realizzare opere scultoree in marmo, bronzo e terracotta, e opere pittoriche di qualsiasi tipo”. Ma è abilissimo anche ad anticipare quello di cui il committente potrà fruire se gli darà una possibilità: “Potrò eseguire il monumento equestre in bronzo che in eterno celebrerà la memoria di Vostro padre e della nobile casata degli Sforza”.

Non manca certo di convinzione, autostima e fiducia, quando conclude dicendo: “Se le cose che ho promesso di fare sembrano impossibili e irrealizzabili, sono disposto a fornirne una sperimentazione in qualunque luogo voglia Vostra Eccellenza, a cui umilmente mi raccomando”. Insomma, una bella conferma del desiderio di mettersi alla prova e dimostrare il proprio valore.

Lo Storytelling, una ginnastica insostituibile per il nostro cervello

Oggi ho ricevuto un dono speciale, una confezione di Cubi Cantastorie, un gioco molto semplice, ma dalle possibilità infinitamente produttive in termini di immaginazione narrativa. Lanciati i dadi, l’accostamento casuale delle immagini raffigurate stimola l’autore a raccontare una storia che contenga quegli elementi.

Ci troviamo quindi nel campo delle infinite possibilità narrative, ovvero lo Storytelling. Molto è stato detto e scritto sulle intrinseche potenzialità formative di questa pratica, ma credo valga la pena ricordare e sostenere – in un mondo che procede per immagini e constata impietosamente l’affermarsi e il ritorno di tante forme di analfabetismo – la straordinaria stimolazione cognitiva che la produzione di storie è in grado di attivare.

Gianni Rodari, nella sua opera La Grammatica della Fantasia, sosteneva che “una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena”. Bruner sosteneva addirittura che una delle modalità fondamentali con cui la mente umana approccia la realtà è proprio il pensiero narrativo. Non solo, lo storytelling sarebbe inscindibile dall’esistenza stessa, perché fin da bambini pensiamo, analizziamo e raccontiamo il mondo in forma narrativa: la nostra mente processa la realtà attraverso unità temporali e le connette attribuendo loro un ordine e delle relazioni. Insomma, la nostra mente racconta continuamente storie, individuando cornici (frame) e micro-sceneggiature (script) in tutto ciò che la circonda.

La creazione di storie rappresenta a livello neurocognitivo un esercizio straordinario della corteccia che aumenta in modo significativo le capacità di ragionamento ipotetico-deduttivo, di pianificazione e di problem solving.  È il pensiero narrativo e fantastico che permette di elaborare ipotesi di cambiamento del futuro: solo prendendo in considerazione un mondo possibile si può agire sulla realtà e intervenire per trasformarla attivamente. D’altra parte lo stesso Einstein sosteneva: «Se volete che vostro figlio sia intelligente, raccontategli delle fiabe; se volete che sia molto intelligente, raccontategliene di più»

Oggi gli strumenti ludici e didattici per lo storytelling in commercio sono moltissimi: dai giochi di carte (si pensi alle carte di Propp o di Rodari) fino alle esperienze digitali più moderne. A proposito, l’immagine in foto rappresenta il mio primo lancio di dadi all’apertura del gioco… che storia racconterà?

Antonella Bastone (2020), Le fiabe raccontate agli adulti. Storie di ieri e di oggi per la formazioneCELID edizioni

La sfida della formazione oggi: liberare potenziale, sviluppare autoconsapevolezza e pensiero critico

In una società fluida e complessa, dai confini poco prevedibili a lungo termine, la sfida della formazione attuale è quella non tanto di trasmettere contenuti, ma di attrezzare l’essere umano di strumenti di adattamento adeguati al contesto. Già Edgar Morin asseriva che “è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena”. E oggi questa affermazione è ancora più valida.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità si è raccomandata da tempo di sostenere, fin dalla prima infanzia, una serie di competenze (definite life skills) che rimandano ad abilità trasversali dell’essere umano per affrontare l’ambiente dal punto di vista pragmatico e sociale. Pertanto, non competenze tecniche specifiche, contenuti disciplinari raffinati, ma abilità di vita capaci di sostenere l’uomo nel gestire problemi e situazioni comunemente incontrate nella vita quotidiana. Molte ricerche ci dicono oramai che in futuro sempre più prossimo, le life skills saranno ancora più importanti delle competenze tecniche. Stiamo parlando di abilità come: Consapevolezza di sé, Gestione delle emozioni, Gestione dello stress, Comunicazione efficace, Relazioni efficaci, Empatia, Pensiero Creativo, Pensiero critico, Prendere decisioni, Risolvere problemi. Continua a leggere La sfida della formazione oggi: liberare potenziale, sviluppare autoconsapevolezza e pensiero critico

L’Arte di…presentarsi!

Mappa Creativa di SèEbbene sì, anche la presentazione di sé può essere considerata un’arte o, per lo meno, si possono adottare anche strategie creative di presentazione. Gli esperti di selezione del personale sanno perfettamente che un buon colloquio di lavoro non si improvvisa e che un candidato attento mette in atto molte pratiche per giungere al momento di valutazione con una presentazione di sé ragionata, argomentata e contestualizzata.

Tuttavia, la capacità di narrarsi può non essere per tutti così scontata: può essere utile sperimentare tecniche e metodi differenziati per scardinare alcune resistenze personali, sviluppare un vocabolario personale sulle competenze e apprendimenti acquisiti, gestire la componente emotiva. Continua a leggere L’Arte di…presentarsi!

Orientamento e Bilancio di Competenze. Dalla mia esperienza di consulente

alice– Mi dici per piacere che strada devo prendere?
– Dipende più che altro da dove vuoi andare – disse il gatto
– Non m’interessa tanto dove… – disse Alice
– Allora una strada vale l’altra – disse il gatto
– …basta che arrivi da qualche parte – soggiunge Alice a mò di chiarimento
– Oh, questo è garantito – disse il gatto – basta che metti un piede dopo l’altro e ti fermi in tempo.

(Alice nel paese delle meraviglie, Carroll)

Proprio come Alice, catapultata magicamente in un mondo bizzarro e dalle logiche inconsuete, non è così raro incontrare oggi adulti disorientati dalla fluidità e dall’incessante cambiamento delle società complesse, dove trovare soluzioni semplici e lineari sembra difficile, perché molti fattori interagiscono tra loro, producendo incertezza e confusione (Bastone, 2015)*. Continua a leggere Orientamento e Bilancio di Competenze. Dalla mia esperienza di consulente

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