Una rapida occhiata ai reparti di giocattoli di un qualsiasi supermercato o alla suddivisione degli spazi gioco di un servizio per l’infanzia suggerisce una ripartizione di genere che per molti bambini, soprattutto nella prima infanzia, è irrilevante o addirittura frustrante.
Reparti per maschi e per femmine sono rigorosamente distinti e contrassegnati con etichette e colori differenti per invitare i bambini ad avvicinarsi agli spazi che la mente adulta ha organizzato appositamente per loro. Non è raro sentire adulti che orientano o addirittura demotivano la scelta del bambino con frasi del tipo: “Ma giochi con questo? Allora sei proprio un maschiaccio!”, oppure “Non vorrai metterti a giocare con quella roba da femmine!”. Per un bambino piccolo queste forme di comunicazione possono essere particolarmente umilianti e frustranti, dal momento che la rigida distinzione dei presunti comportamenti maschili o femminili non è del tutto acquisita ed è pertanto spesso misteriosa. Il bambino gioca con qualsiasi cosa trovi ed ogni materiale è interessante da esplorare. Ha bisogno di sperimentare in libertà gli oggetti e i giochi con cui entra in contatto, senza delimitazioni imposte dal mondo adulto, aldilà di quelle che tutelano la sua incolumità. Non sta all’adulto dire al bambino come deve usare quel determinato gioco, certo, può suggerire lo scopo per cui è stato costruito, ma ciò non toglie che la creatività del bambino possa spaziare in direzioni differenti.
Il gioco è esplorazione, ricerca e in quanto tale è fonte di apprendimento. Ma dovrebbe essere soprattutto un’esperienza piacevole e divertente. Da Rousseau in poi abbiamo acquisito la necessità di ascoltare e comprendere autenticamente bisogni e desideri del bambino, di rispettare i suoi tempi e ritmi di sviluppo, di garantire la sua libertà ed esigenza di sperimentazione. Pertanto, bambini e bambini non dovrebbero essere privati della possibilità di esplorare giochi tradizionalmente attribuiti all’altro sesso.
Lo sviluppo dell’identità sessuale (ossia la percezione di sé come maschi o femmine) è un processo che inizia molto presto, già a due/tre anni. Il ruolo sessuale è invece il comportamento che una data cultura si aspetta da parte di un maschio o da una femmina e che sostiene attraverso regole più o meno esplicite trasmesse nei processi di socializzazione.
Da sempre giochi e giocattoli hanno assunto questa funzione: pentoline e bambole per le bambine, destinate ad essere principalmente buone mogli e madri, costruzioni e attrezzi per i maschietti, piccoli prototipi di homo faber. Ma potrebbe anche essere che il bambino sia incuriosito da oggetti, materiali e giochi culturalmente destinati all’altro sesso, senza per questo significare che abbia problemi con la sua identità di genere!
Ad esempio, il maschietto di 24 mesi – spesso si osserva nei servizi per l’infanzia – che si avvicina incuriosito alla carrozzina e desidera cullare la bambola manifesta simbolicamente il desiderio di sperimentare la relazione di cura con la figura materna. Curare e proteggere un piccolo, interpretare per qualcun altro il ruolo materno, rappresenta per lui la possibilità di essere “il grande di un piccolo” e di restituire attraverso il gioco la relazione di cura di cui si è sempre destinatari.
La prima infanzia dell’ essere umano è spesso considerata l’età migliore, per la sua spensieratezza e libertà. Già con l’età scolare l’impostazione diventa sempre più didattica, sempre più focalizzata sul raggiungimento di risultati e obiettivi. Forse vale la pena di preservare la libertà e la curiosità di questi anni magici.