Oceania e la ricerca dell’identità: occorre lasciar andare per potersi ritrovare

Un film sull’adolescenza e sulla tormentata ricerca dell’identità di una giovane maori, attratta dall’oceano, chiara metafora del percorso da esplorare per cercare se stessi. Il conflitto padre – figlia, probabilmente un tratto culturalmente universale nei percorsi di crescita adolescenziali, apre gli interrogativi sulla propria identità: da un lato un padre, forte e premuroso, che però costringe la figlia nei rassicuranti confini della propria isola, dove l’oceano appare solo come la linea invalicabile delle cose proibite. Dall’altro Vaiana, la protagonista, irresistibilmente attratta dall’orizzonte, che intuisce fin da bambina la possibilità di trovare delle risposte solo valicando il pericoloso confine. Continua a leggere Oceania e la ricerca dell’identità: occorre lasciar andare per potersi ritrovare

CENERENTOLA…. quel legame eterno con la madre perduta

CenerentolaEbbene, ho visto il film di Cenerentola. Avevo visto anche il film animazione di molto tempo fa. E non posso fare altro che confermare la mia predilezione per le fiabe nella loro versione tradizionale e dispiacermi delle mancanze riscontrabili nelle versioni cinematografiche *.

La fiaba di Cenerentola, tra le più note in assoluto, presente in contesti culturali molto diversi, è una fiaba che parla di molte cose, come è stato ben esplicitato da esperti del settore (vedi Bettelheim a questo proposito). È una fiaba che parla dell’adolescenza e delle fatiche della crescita, delle prove per raggiungere l’autonomia, delle rivalità fraterne, dell’effimero ruolo dell’immagine esteriore per potersi affermare nella vita.

Ma è anche una fiaba che parla del legame indissolubile con la figura materna, anche quando essa non c’è più. È questo è il punto più debole delle versioni cinematografiche (ispirate alla versione di Perrault). Continua a leggere CENERENTOLA…. quel legame eterno con la madre perduta

L’importanza dell’errore e delle regole

Una bambina che ha da poco iniziato la prima elementare, affronta le necessarie richieste di maggiore maturità ed autonomia di questa fase. Di fronte alla prima, piccola occasione di errore didattico si mostra frustrata e scoraggiata. Ma soprattutto resta stupefatta di fronte a questa osservazione: “Tutti sbagliano. I piccoli e anche i grandi. Non esiste nessuno al mondo che non abbia mai sbagliato”.

De ChiricoPenso all’esaltazione della libertà individuale e all’atmosfera di onnipotenza che spesso trapela dalla nostra cultura, alla spinta, anche mediatica, al successo personale e autocentrato, alla minimizzazione o negazione degli insuccessi, in una prospettiva di perfettibilità illimitata.

Occorre recuperare il valore dell’errore, dell’insuccesso e del fallimento, riflettere sull’importanza formativa dell’imperfezione e sull’incontro inevitabile nelle nostre esperienze di vita. Mai come in questi tempi onnipotenza e fragilità sono stati così vicini.

Un bambino dichiara alla maestra di non aver più voglia di svolgere il compito perché si è stancato e, per dimostrarlo, sfida l’insegnante strappando il proprio quaderno. Continua a leggere L’importanza dell’errore e delle regole

Frozen: da figlia diversa a donna moderna

Aldilà dell’incredibile fenomeno commerciale, la storia di “Frozen: il regno di ghiaccio” merita alcune riflessioni educative, anche in virtù di alcuni elementi di novità che emergono e che si allontanano dai topos delle fiabe tradizionali. Elsa frozen

Elsa, la protagonista della storia, è innanzitutto una bambina diversa, una figlia diversa. La incontriamo all’inizio del film dotata di un curioso potere, solo apparentemente affascinante, ma che si rivelerà profondamente invalidante. L’origine della sua diversità sta nella difficoltà a gestire le emozioni (per intenderci, competenza emotiva): le folate di ghiaccio e neve che produce sono infatti conseguenza di emozioni forti che non riesce a controllare e che, oltre ad evidenti potenzialità ludiche, sono responsabili anche di pericolosi effetti distruttivi.  Continua a leggere Frozen: da figlia diversa a donna moderna

Ma l’adolescenza non era una fase di passaggio?

BratzLeggo la definizione di adolescenza: “Fase della crescita dell’essere umano collocabile tra i 12-14 e i 18-20 anni, caratterizzata da una serie di modificazioni fisiche e psicologiche che introducono all’età adulta”.

Anche l’etimologia del termine (dal latino adolescere, ossia crescere) rimanda al concetto di transizione tra due fasi di vita.Ma di certo la definizione tradizionale non corrisponde affatto alla fenomenologia attuale dello sviluppo umano. Quando in aula chiedo semplicemente: quando finisce l’adolescenza? Gli sguardi smarriti e disorientati confermano l’attuale difficoltà a identificare con precisione l’acquisizione della maturità. Continua a leggere Ma l’adolescenza non era una fase di passaggio?

“Ti regalo un disegno!”

Escher - Mani che disegnano

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Disegno di Beatrice – 5 anni

Ti regalo un disegno!”. Quante volte osserviamo questo comportamento da parte di un bambino? Certamente moltissime volte, possiamo essere testimoni, diretti o indiretti, di questo bellissimo atto di gratuità affettiva. Soprattutto se il bambino è in età prescolare, regala disegni a molte persone importanti della sua rete sociale: ovviamente i genitori, i nonni, gli amici del cuore, ma anche le maestre e gli insegnanti sportivi.

Non voglio soffermarmi qui sulle valenze cognitive della produzione grafiche. Piaget ne ha abbondantemente parlato nei suoi saggi, evidenziando come il disegno del bambino possa essere prova del suo livello cognitivo, oltre che delle sue strutture mentali. E neppure voglio parlare delle componenti emotivo-affettive e dei significati simbolici che possono essere letti nel disegno del bambino, su cui l’interpretazione psicoanalitica ha speso molte riflessioni, da McKlein ad Anna Freud.

Vorrei parlare invece di un aspetto spesso trascurato della produzione grafica del bambino, che è appunto l’atto del donare il disegno, nel senso antropologico del termine. Continua a leggere “Ti regalo un disegno!”

La scatola dei tesori

scatola di BeatriceHo constatato che a diversi bambini piace moltissimo un gioco semplice e versatile che amo chiamare la scatola dei tesori: si tratta semplicemente di una scatola contenente una grande quantità di oggetti e materiali dalle svariate funzioni, mescolati in maniera caotica e imprevedibile (scatoline, mollette, pupazzetti, piccoli oggetti di recupero). Molti bambini possiedono una propria scatola dei tesori a casa, molte educatrici dei servizi per l’infanzia provvedono a costruirne una e, quando viene proposta al gruppo dei bambini, suscita sempre uno slancio di entusiasmo e interesse. La scatola appare come uno scrigno magico da cui scaturisce un materiale imprevedibile capace di attirare bambini di età diverse: i più piccoli, intorno ai due anni, lo utilizzano semplicemente in maniera esplorativa o per soddisfare un’esigenza tipica di quell’età che è il gioco di travaso da un contenitore all’altro. I più grandi, già sensibili al fascino del gioco simbolico, possono dare sfogo a scenari sempre diversi. Continua a leggere La scatola dei tesori

I BAMBINI SONO FILOSOFI

I bambini sono piccoli filosofi, perché hanno la capacità di meravigliarsi e mantenere costantemente attiva la curiosità verso il mondo.
Questo innato desiderio di conoscenza (ricordate? Filosofia significa letteralmente “amore per il sapere’) si manifesta prestissimo nello sviluppo. A partire dai primi mesi, quando il bambino divora il mondo con lo sguardo, o quando intorno ai 10 mesi inizia a puntare il ditino attirando l’attenzione dell’adulto su ciò gli interessa e intende decifrare. Questo semplice gesto (in termini tecnici pointing) consente di condividere l’attenzione dell’adulto e avere un sostegno nel decifrare la misteriosa mappa del mondo.
Per non parlare poi di cosa succede con lo sviluppo del linguaggio… La curiosità del bambino ben si manifesta attraverso la domanda continuamente posta alla realtà: “perché“?
Il filosofo ha proprio questa attitudine in comune con i bambini: la curiosità verso il mondo, il desiderio di capire quali meccanismi e fenomeni sottostanno alla natura. In genere, all’adulto, ahimè, resta il disincanto…per questo a volte è disturbato dalla catena infinita di “perché” del bambino: è costretto a fermarsi, interrogarsi, scomporre i propri equilibri consolidati. L’adulto dà il mondo per scontato e l’abituazione purtroppo fa perdere il senso della meraviglia.
Per dirla con Jostein Gaarder. “L’unica cosa di cui abbiamo bisogno per diventare buoni filosofi è la capacità di stupirci (…). Nel nostro animo noi intuiamo che la vita è un mistero. E questa è una sensazione che abbiamo provato una volta, molto tempo prima che imparassimo a pensarci” (da “Il mondo di Sofia”).

 

CONNESSI, EPPUR LONTANI: INDIVIDUI, GENITORI E FAMIGLIE NELLE SOCIETA’ COMPLESSE

Hervé-TulletLe famiglie di oggi si trovano ad affrontare nuove sfide, dettate dalle condizioni e dalle aspettative che le moderne società complesse pongono all’essere umano. Nelle società tradizionali, l’orologio sociale scandiva in tempi prevedibili e rassicuranti gli appuntamenti della vita: il tempo per la formazione, il matrimonio, la genitorialità erano tappe prevedibili che seguivano percorsi piuttosto uniformi nelle vite delle persone e rappresentavano aspettative sociali condivise.

Nelle società complesse i tradizionali sistemi di significato appaiono superati e quelli nuovi cambiano velocemente. La spinta alla libertà individuale, particolarmente forte nelle attuali società industrializzate, può rendere complicato lo sviluppo personale: la maturità professionale, la stabilizzazione della coppia coniugale e la genitorialità non sono più tappe tanto vincolanti, ma passaggi possibili e spesso reinterpretabili nella vita dell’individuo (Bastone A., 2014)[1]. Continua a leggere CONNESSI, EPPUR LONTANI: INDIVIDUI, GENITORI E FAMIGLIE NELLE SOCIETA’ COMPLESSE

Giochi da maschi, giochi da femmina…o semplicemente giochi?

Una raHervé Tulletpida occhiata ai reparti di giocattoli di un qualsiasi supermercato o alla suddivisione degli spazi gioco di un servizio per l’infanzia suggerisce una ripartizione di genere che per molti bambini, soprattutto nella prima infanzia, è irrilevante o addirittura frustrante.
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